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SOTTO LE BOMBE DI HITLER.
La Battaglia di Inghilterra
nelle immagini di Science Society Picture Library - SSPL

Nel giugno del 1940 la Francia si arrende alle truppe naziste. La Gran Bretagna, sua alleata, rimane da sola a fronteggiare la Germania. Sconfitte dalle armate di Hitler, sotto il fuoco costante delle forze aeree tedesche, le sue truppe sono miracolosamente rientrate in Inghilterra con ogni mezzo civile e militare dalla spiaggia francese di Dunquerke. Il male trionfa nel vecchio continente. L’est è dominato dalla follia stalinista. L’ovest dalla follia nazista e fascista. Berlino è convinta che la Gran Bretagna, isolata, si arrenderà presto. Ma è Winston Churchill, il primo ministro del Governo di Sua Maestà Britannica, a chiarire ai tedeschi di che pasta sono fatti i cugini britannici. Rifiuta infatti ogni proposta di pace. Il 18 giugno 1940 alla Camera dei Comuni anzi dichiara: “Quella che il generale Weygand ha chiamato Battaglia di Francia è finita. Mi aspetto ora che stia per iniziare la Battaglia di Inghilterra”. Il dado è tratto. E Battaglia di Inghilterra fu. Dall’estate del 1940 fino al maggio 1941, la Luftwaffe di Herman Goering scatenò un inferno di ferro e di fuoco sulla Gran Bretagna meridionale. Due gli obiettivi: distruggere la Royal Air Force per ottenere la supremazia dei cieli prima di invadere l’isola e bombardare la popolazione civile senza sosta per fiaccarne lo spirito. 

Il piano fallì. Le forze aeree britanniche ressero l’impatto respingendo gli attacchi di caccia e bombardieri tedeschi. In un altro celebre discorso alla Camera dei Comuni, ringraziando i piloti dell’aviazione militare, Winston Churchill disse: “Mai, nel campo degli umani conflitti, tanti dovettero così tanto a così pochi”. Il fiero spirito dei britannici non venne fiaccato: la popolazione resistette eroicamente ai bombardamenti, per quanto cruenti e rovinosi furono in termini di vite umane perdute ed edifici distrutti. La Battaglia d’Inghilterra finì ma non le incursioni tedesche che andarono avanti, sebbene sempre meno frequenti, fino al termine della seconda guerra mondiale e alla sconfitta del nazismo. Sin dagli inizi del conflitto la Gran Bretagna mise in conto di essere bombardata dai tedeschi. I raid aerei nazisti in Spagna durante la guerra civile avevano dimostrato a tutti quale  concezione della guerra avesse la Germania del III Reich. Già dal 1939, nei primi mesi del conflitto, il governo britannico organizzò l’evacuazione dei bambini da Londra, distribuiti in campi di accoglienza nel nord, nell’ovest e nell’est del paese. Ma il grosso della popolazione non si mosse. Così come non si mosse la famiglia reale che decise di condividere la sorte dei suoi sudditi.

A Londra furono distribuiti rifugi antiaerei in acciaio da tenere nei giardini delle proprie abitazioni. A tutti furono distribuite maschere antigas da portare sempre con sé, da utilizzare nelle esercitazioni senza preavviso con i gas lacrimogeni oppure in caso di attacco tedesco. L’incubo delle armi chimiche infatti, ereditato dal primo conflitto mondiale, era ancora vivissimo anche se non furono mai utilizzate nella seconda guerra mondiale. Nelle stazioni metropolitane furono approntati letti a castello per offrire alla popolazione un posto sicuro dove riposare durante gli attacchi notturni e un luogo dove risiedere a chi avesse perso la propria abitazione. E per tenere alto il morale, sempre nelle metropolitane, furono organizzati spettacoli di intrattenimento per i rifugiati. In superficie la vita continuò in mezzo alle macerie, spesso in paesaggi resi spettrali dai bombardamenti. Eppure gli Inglesi non persero l’abitudine di uscire tutte le mattine dalle loro case per andare a fare la spesa o recarsi al lavoro. Realizzata con le immagini scattate dai fotoreporter di allora e tratte dagli archivi della Science & Society Picture Library (che conserva i materiali iconografici dei National Museums of Science and Industry di Londra) l’esposizione “Sotto le bombe di Hitler” vuole raccontare la loro quotidianità. Fatta di bombe, raid notturni, macerie, feriti, morti ma anche, sebbene l’eccezionalità e la gravità dei tempi, di una coraggiosa e temeraria normalità.
Alessandro Luigi Perna

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