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WILD WEST

1861 – 1912: L’AMERICA DEI PIONIERI

Nessuna colonizzazione è entrata nell’immaginario collettivo e ha affascinato le generazioni del ‘900 di tutto il mondo come quella del selvaggio west americano. A renderlo possibile sono stati i film hollywoodiani che a partire dai primi anni del secolo scorso ne hanno raccontato la storia trasformandola in leggenda epica. Protagonisti ne erano gli audaci e indifesi pionieri, che poi altro non erano che contadini immigrati europei senza un soldo alla ricerca di terra, guidati a ovest da avventurieri di buon cuore, attaccati da   indiani cattivi, salvati dal 7° cavalleggeri, vessati da grandi e prepotenti proprietari terrieri e da bande di criminali, di nuovo salvati da solitari pistoleri (spesso fascinosi ma poco  borghesi e per nulla per bene) e da sceriffi che soli contro tutti ristabilivano l’ordine e la giustizia (quando non erano violenti, ubriaconi e corrotti). Di contorno c’era la  costruzione della linea ferroviaria che univa il continente da est a ovest, fuorilegge famosi, i cowboy con le loro mandrie, i cacciatori di bufali e di pellicce, cercatori d’oro, saloon e prostitute.

Ma se guardando i film americani sembra tutto vero e tutto finto, tutto edulcorato e tutto eccessivo, guardando le fotografie dell’epoca si scopre che è tutto sorprendentemente e suggestivamente reale.

A dimostrarlo sono le immagini realizzate da giornalisti, fotografi, cittadini privati, ufficiali pubblici che prima sono confluite come documenti ufficiali in numerosi dipartimenti statali, poi sono state raccolte in un’unica collezione conservata nei National Archives degli Stati Uniti. Di questa massa di materiali iconografici, miracolosamente sopravvissuti alle condizioni estreme in cui furono prodotti, i National Archives ne hanno fatto una selezione per addetti ai lavori e per il grande pubblico con l’obiettivo di diffonderli il più possibile perché la vera storia del west sia patrimonio collettivo. Da questa selezione è tratta la mostra “Wild West” che senza nessuna pretesa di esaustività vuole offrire uno spaccato di un preciso momento dell’espansione a ovest: gli ultimi 50 anni, quelli in cui si sviluppò quel mito della frontiera, fatto di violenza ed eroismi, crudeltà e speranza, che tanti film  hanno celebrato. A chiudere temporalmente e soprattutto idealmente l’epopea dell’espansione a ovest è il 1912, quando l’Arizona, l’ultimo degli stati continentali, fu ammesso nell’Unione diventando parte integrante degli Stati Uniti.

È un’altra data e la formalizzazione di altri confini a fare da prologo alla mostra. Nel 1848 le frontiere degli attuali Stati Uniti sono infatti fissate legalmente - a nord a  fare da confine è il 49° parallelo, a sud è il Rio Grande, a ovest è l’Oceano Pacifico. Da molto tempo gli americani avevano cominciato la loro espansione a occidente con piccoli insediamenti. Ad approfittare in massa per primi dei nuovi confini furono i cercatori d’oro dopo la scoperta di ricchissimi filoni auriferi sulle Montagne Rocciose e in California. All’epoca erano pochissimi i coloni che si avventuravano con le loro famiglie nel selvaggio west e generalmente lo facevano per andare dritti (e il più velocemente possibile) fino alla costa ovest già relativamente europeizzata. A limitare la presenza degli americani di origine europea nelle grandi pianure tra i monti Appalachi e le Montagne Rocciose erano gli indiani - Sioux, Cheyenne, Arapaho, Apaches, etc. Temuti dai coloni, gli indiani, che conducevano vita nomade, avevano assistito all’invasione ancora rarefatta delle loro terre con  apparente ma ostile distacco fino agli anni ’60 dell’800. Fino ad allora infatti la loro esistenza era stata relativamente compromessa dai nuovi venuti: a dettare le stagioni erano ancora la caccia al bisonte e gli scontri tra le diverse tribù, in continua lotta tra loro per accaparrarsi le mandrie più numerose e i pascoli migliori in un perfetto (o quasi)  equilibrio uomo/violenza/natura.

La fine della Guerra Civile Americana, che liberava uomini in uniforme per proteggere gli insediamenti a ovest, e il continuo flusso di immigrati dall’Europa alla ricerca di terra, produsse nella seconda metà degli anni ’60 una corsa all’ovest impetuosa e inarrestabile che neppure il timore degli indiani e le loro sanguinose e terrorizzanti incursioni riuscì ad arrestare. Tra i primi della nuova ondata erano stati i mormoni e diverse sette religiose minori alla ricerca di un posto in cui realizzare il loro paradiso in terra. Ma ben presto con che sfumatura credere nel Dio cristiano non fece più la differenza. Europei provenienti da ogni nazione del vecchio continente -a partire da inglesi, irlandesi, tedeschi, scandinavi- si riversarono in massa verso occidente. I rari insediamenti si moltiplicarono divenendo prima villaggi e poi città. Alle strade in terra battuta si aggiunse la ferrovia che collegò le due coste degli Stati Uniti. I bisonti, cacciati per nutrire gli operai usati per la costruzione dei binari, furono decimati. Gli indiani, travolti dal mondo contemporaneo, cercarono di  resistere con continue guerre e ribellioni fino ai primissimi anni ’90 dell’800.

Ma per quante vittorie riportassero (famosa quella contro il generale Custer nel 1876) lo scontro si dimostrò ben presto disperato e impari. Una dopo l’altra, tutte le nazioni indiane furono sconfitte e confinate nelle riserve.

L’epopea del selvaggio west poteva così giungere al suo termine.

 

Alessandro Luigi Perna

 

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